Paul Graham: il pifferaio magico dei nerd
Paul Graham: il pifferaio magico dei nerd
La Riframmentazione // The Refragmentation
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La Riframmentazione // The Refragmentation

Traduzione in italiano di Dario Ricci dall’essay originale di Paul Graham "The Refragmentation"
Traduzione e lettura in italiano di Dario Ricci dall’essay originale di Paul Graham "The Refragmentation" [Gennaio 2016].
Immagine generata con ChatGPT

Uno dei vantaggi dell'invecchiare è osservare i cambiamenti che accadono nel corso della propria vita. Tra i cambiamenti cui ho assistito, il più importante è probabilmente la frammentazione della nostra società. La politica statunitense è molto più polarizzata di un tempo. Dal punto di vista culturale, non abbiamo mai avuto così poco in comune. I creativi si concentrano in poche città felici, abbandonando le altre. E la disuguaglianza economica tra ricchi e poveri non fa che aumentare. Vorrei proporre un'ipotesi: che tutte queste tendenze abbiano un'origine comune. E che ciò che le ha generate non sia una nuova forza che crea disuguaglianza, ma piuttosto l'erosione delle forze che ci avevano reso simili.

Le forze che ci avevano reso simili erano una combinazione unica di circostanze, un’anomalia che difficilmente si ripeterà - e che, anzi, preferiremmo non si ripetesse.

Si trattava in particolare di due forze: la guerra, in particolare la Seconda Guerra Mondiale, e l'ascesa delle grandi aziende.

La Seconda Guerra Mondiale ebbe conseguenze sia economiche che sociali.

Dal punto di vista economico, diminuirono le differenze di reddito. L'esercito americano, come tutte le forze armate moderne, era economicamente socialista: ognuno secondo le proprie capacità, ognuno secondo i propri bisogni. O quasi: nelle forze armate americane, come tipicamente accade nelle società socialiste, i membri di grado più elevato erano pagati di più.

L'appiattimento dei salari non si limitava ai membri delle forze armate, ma si applicava anche all’economia nel suo complesso. Tra il 1942 e il 1945, tutti i salari erano fissati dal National War Labor Board. La standardizzazione dei salari era così pervasiva che i suoi effetti continuarono per anni, anche dopo la fine della guerra.

Neanche gli imprenditori dovevano guadagnare più degli altri. Il presidente Roosevelt disse che non avrebbe permesso a nessuno di diventare un “milionario di guerra". Per questo, ogni aumento dei profitti di un'azienda rispetto ai livelli prebellici era tassato all'85%, mentre i profitti distribuiti alle persone fisiche venivano tassati al 93%.

Anche dal punto di vista sociale, la guerra appiattì le differenze. Quasi l’80% degli uomini nati nei primi anni Venti furono arruolati. Questo fece sì che oltre 16 milioni di persone delle più diverse estrazioni sociali fossero accomunate da uno stile di vita molto uniforme. E lavorare per un obiettivo comune, spesso sotto stress, li avvicinò ancora di più.

La Seconda Guerra Mondiale per gli Stati Uniti durò meno di 4 anni, ma i suoi effetti durarono molto più a lungo. È normale che durante le guerre i governi centrali assumano maggiori poteri, ma la Seconda Guerra Mondiale ne fu un caso estremo. Anche negli Stati Uniti, come in tutti gli altri Paesi alleati, il governo federale fu lento a rinunciare ai nuovi poteri acquisiti. Per certi aspetti, infatti, la guerra non finì nel 1945: semplicemente, l'Unione Sovietica divenne il nuovo nemico. Per quanto riguarda le tasse, il potere federale, la spesa per la difesa, gli obblighi di leva e il nazionalismo, i decenni successivi al 1945 assomigliarono più agli anni della guerra che al periodo di pace prebellico. Anche gli effetti sociali durarono a lungo: il ragazzo che prima di arruolarsi faceva l'agricoltore in West Virginia, una volta finita la guerra non tornava semplicemente alla sua fattoria. Lo aspettava una prospettiva diversa, una prospettiva civile che però assomigliava molto all'esercito.

Se dal punto di vista politico la storia americana del XX secolo è stata definita dalla guerra globale, la storia economica è stata invece definita dall'ascesa di un nuovo tipo di aziende. E anche questo fenomeno ha contribuito alla creazione di una forte coesione sociale ed economica.

Il XX secolo è stato il secolo delle grandi aziende nazionali: General Electric, General Foods,

General Motors. Gli sviluppi nel campo della finanza, delle comunicazioni, dei trasporti e

della produzione hanno portato alla formazione di un nuovo tipo di aziende che avevano come principale obiettivo la grande dimensione. Era un mondo a bassa risoluzione: poche grandi aziende dominavano ogni grande mercato, come pochi grandi mattoncini Duplo.

La fine del XIX e l'inizio del XX secolo fu un'epoca di consolidamento tra aziende, guidata soprattutto dal grande banchiere J. P. Morgan. Migliaia di aziende gestite dai loro fondatori si fusero fino a diventare decine di aziende giganti, gestite da manager professionisti: le economie di scala la facevano da padrone, e sembrava che questo fosse lo stato finale della struttura dell'economia. John D. Rockefeller disse nel 1880:

“Il consolidamento è qui per restare. L'individualismo è scomparso e non tornerà mai più.”

Vedendolo dalla prospettiva di oggi si sbagliava, ma per tutto il ‘900 sembrava proprio che le cose sarebbero andate così per sempre.

Il consolidamento tra aziende continuò per gran parte del XX secolo. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, come scrive l’analista politico Michael Lind, "I principali settori dell'economia erano organizzati come cartelli sostenuti dal governo, o dominati da poche società oligopolistiche".

Ciò dava ai consumatori poche scelte, uguali per tutti. Quando ero adolescente, nella maggior parte dei casi c'erano solo 2 o 3 prodotti per ogni categoria. Tutte le aziende puntavano alla fascia media del mercato, il che faceva sì che le differenze tra un prodotto e l'altro fossero assai limitate.

Una delle espressioni più importanti di questo fenomeno era la TV. Tre erano le scelte possibili: NBC, CBS e ABC. Più la TV pubblica, che però guardavano solo intellettuali e comunisti. C'era una spinta all'omologazione che faceva sì che gli spettacoli offerti dalle tre reti fossero indistinguibili: se qualcuno tentava una programmazione anche solo lievemente più audace, gli inserzionisti facevano pressioni affinché si riallineasse.

Inoltre, visto che le televisioni erano costose, intere famiglie guardavano insieme gli stessi programmi, che quindi dovevano essere adatti a tutti.

Tutti ricevevano gli stessi contenuti nello stesso momento. Ogni sera, decine di milioni di famiglie si sedevano insieme davanti alla TV per guardare lo stesso programma, alla stessa ora. Quello che oggi accade una sera all'anno con il Super Bowl, un tempo accadeva ogni sera. Eravamo letteralmente sincronizzati.

Questa cultura televisiva dava una visione del mondo simile a quella che si può trovare in un libro per bambini: i contenuti erano semplici, e l’obiettivo era fare in modo che le persone si comportassero meglio. Ma questo, per gli adulti, rischiava di essere pericolosamente fuorviante.

Robert MacNeil, un famoso giornalista dell’epoca, racconta nella sua autobiografia di aver visto immagini raccapriccianti appena arrivate dal Vietnam e di aver pensato: "Non possiamo mostrarle alle famiglie mentre cenano".

So quanto quel pensiero unico fosse pervasivo perché ho provato a cercare alternative, ma era praticamente impossibile. All'età di 13 anni mi resi conto, più per evidenza interna che per riscontri esterni, che le idee che la TV ci propinava erano semplicistiche e fuorvianti, e smisi di guardarla. Ma il problema non era solo la TV. Sembrava che intorno a me non ci fosse nulla di autentico: i politici dicevano tutti le stesse cose; i marchi di consumo producevano prodotti quasi identici, ma con etichette diverse per indicare quanto fossero prestigiosi; le case erano semplici strutture in legno, ma rivestite per farle sembrare lussuose dimore coloniali; le auto avevano enormi carrozzerie di lamiera, che già dopo un paio d’anni dall’acquisto iniziavano a cadere a pezzi; le mele "red delicious" erano di un bel colore rosso, ma di delizioso non avevano nulla. Col senno di poi, faceva tutto schifo.

Andai alla ricerca di alternative, ma non trovai praticamente nulla. Internet non esisteva, l'unico posto dove cercare nuovi stimoli era la libreria del centro commerciale locale. Lì trovai una copia di The Atlantic. Mi piacerebbe dire che fu la porta di ingresso a un mondo alternativo, ma la verità è che lo trovai noioso e incomprensibile, come un bambino che assaggia il whisky per la prima volta e finge che gli piaccia. Nonostante ciò, conservai quella rivista come un cimelio, sono sicuro di averla ancora. Era la prova che esisteva, da qualche parte, un mondo che non era rosso e delizioso.

Le grandi aziende non ci rendevano simili solo come consumatori, ma anche come

lavoratori. Al loro interno agivano forze potenti, che spingevano le persone verso un unico modello estetico e comportamentale. L'IBM era particolarmente nota per questo, ma era solo un po' più estrema delle altre grandi aziende. E i modelli estetici e comportamentali variavano poco da un'azienda all'altra: in altre parole, in questo mondo ci si aspettava che tutti sembrassero più o meno uguali. E non solo chi lavorava in queste aziende, ma anche tutti coloro che aspiravano a lavorarci. Il che, a metà del XX secolo, significava la maggior parte delle persone che non ne facevano già parte. In quegli anni, la classe operaia faceva di tutto per sembrare borghese. Lo si può vedere nelle vecchie foto: pochi adulti aspiravano a sembrare pericolosi nel 1950.

Oltre che dal punto di vista culturale, l’ascesa delle grandi aziende nazionali limitò l’individualità anche dal punto di vista economico, mediante una poco meritocratica compressione delle retribuzioni verso la media.

Questo avvenne innanzitutto grazie all'operato dei grandi sindacati nazionali, che facevano da contraltare alle grandi aziende nazionali. A metà del XX secolo le aziende strinsero con i sindacati accordi con cui si obbligavano a pagare la manodopera oltre il prezzo di mercato. Questo fu possibile in parte perché i sindacati monopolizzavano l'offerta di lavoro, e quindi avevano il potere di decidere se garantire o meno la manodopera a una determinata azienda. In parte perché ogni mercato era dominato da poche aziende che formavano oligopoli di fatto. In questo contesto, scaricare i maggiori costi del personale sui loro clienti non aveva conseguenze particolarmente negative, perché era chiaro che anche i loro concorrenti avrebbero fatto lo stesso. Inoltre, a metà del XX secolo l’obiettivo della maggior parte di queste grandi aziende era ancora quello di trovare nuovi modi per conseguire maggiori economie di scala, piuttosto che ottimizzare i costi. Proprio come le startup preferiscono spendere di più per far gestire i server ad Amazon piuttosto che gestirli internamente, in modo da potersi concentrare sulla crescita, queste grandi aziende nazionali erano disposte a pagare di più la manodopera per concentrarsi su ciò che interessava loro realmente.

Oltre a spingere i redditi bassi verso l'alto pagando la manodopera più del prezzo di mercato, le grandi aziende del XX secolo spinsero anche i redditi più alti verso il basso, pagando troppo poco i loro manager. L'economista J. K. Galbraith scrisse nel 1967: "Sono poche le aziende in cui si potrebbe pensare che gli stipendi dei dirigenti siano al massimo".

Questa affermazione in realtà non era completamente corretta: non teneva infatti conto del fatto che oltre alla retribuzione in senso stretto i dirigenti ricevevano anche importanti benefit che non comparivano nella denuncia dei redditi. Ciò permetteva di far percepire loro benefici non tassati. Ad esempio nel Regno Unito, dove le tasse erano più alte che negli Stati Uniti, le aziende pagavano per conto dei manager persino le rette delle scuole private dei figli.

La cosa più di valore che le grandi aziende della metà del XX secolo offrivano ai loro dipendenti era però la sicurezza del posto di lavoro, e anche questo è un beneficio che non compare nelle statistiche sui redditi. Considerando i benefit e la sicurezza del posto di lavoro, la disuguaglianza di trattamento tra manager e manodopera non era bassa come sembrava considerando solo l’aspetto retributivo. Ma anche tenendo conto di questo, le grandi aziende pagavano i loro migliori dipendenti meno del prezzo di mercato.

Questo perché mancava un mercato del lavoro propriamente detto: l'aspettativa era di lavorare per la stessa azienda per decenni, se non per tutta la carriera. Il mercato del lavoro era illiquido: e la difficoltà a cambiare azienda riduceva le possibilità di ottenere una retribuzione di mercato.

Se l’azienda ti prometteva che avresti avuto un posto di lavoro assicurato fino alla pensione, diventava meno importante farsi pagare il più possibile in quel dato anno. Se ti prendevi cura dell'azienda, l’azienda si sarebbe presa cura di te. Soprattutto se lavoravi con lo stesso gruppo di persone da decenni. Se facevi pressioni all'azienda per ottenere più soldi, le stavi facendo all’organizzazione che si sarebbe presa cura di te. Inoltre, se non mettevi l'azienda al primo posto non saresti stato promosso. Se per salire non potevi cambiare scala, l’unico modo per andare verso l'alto era una promozione.

Per chi aveva trascorso gli anni formativi nelle forze armate, questa situazione non sembrava strana come sembrerebbe a noi oggi. Dal loro punto di vista, essere dirigenti di una grande azienda era come essere ufficiali di alto rango: venivano pagati molto più dei soldati semplici, avevano pranzi pagati nei migliori ristoranti e volavano sugli aerei privati dell'azienda. Probabilmente la maggior parte di loro nemmeno si domandava se la loro retribuzione fosse o meno allineata a quella di mercato.

Oggi qualsiasi persona ambiziosa ha chiaro che il modo migliore per ottenere il massimo riconoscimento per il proprio lavoro è lavorare per se stessi, avviando una propria azienda. Ma a metà del XX secolo questa non era un'idea largamente condivisa. Non perché avviare una propria azienda sembrasse troppo ambizioso, ma perché non lo era abbastanza. Anche negli anni '70, quando sono cresciuto, il piano più ambizioso che si potesse avere era ottenere un'istruzione di alto livello in un’istituzione prestigiosa, per poi entrare in un'altra istituzione prestigiosa e farsi strada nella gerarchia. Il proprio prestigio personale era direttamente proporzionale al prestigio dell'istituzione a cui si apparteneva. Naturalmente anche in quegli anni c'erano persone che avviavano le proprie attività. Ma raramente si trattava di persone istruite, perché a metà del XX secolo non era possibile pensare di avviare quella che oggi chiamiamo startup: un’attività che inizia in piccolo, ma che in breve può diventare molto grande. Le attività in proprio partivano piccole e rimanevano piccole. Il che, all'epoca delle grandi aziende, spesso significava sgomitare per evitare di essere calpestati dagli elefanti. Era molto più prestigioso far parte della classe dirigente che cavalcava l'elefante.

Negli anni '70, nessuno si chiedeva da dove venissero le grandi aziende. Sembrava che fossero sempre state lì, come gli elementi chimici. Un doppio muro impediva ai ragazzi ambiziosi del XX secolo di capire come erano nate le grandi aziende: da un lato, molte delle grandi aziende erano in quel momento il risultato di molteplici fusioni, il che rendeva difficile identificare chiaramente un fondatore. Dall’altro, anche nei casi in cui identificare un fondatore era possibile, il loro un percorso era stato molto diverso da quello che si prospettava a quei ragazzi. Quasi nessuno di loro aveva frequentato l'università. Erano quelli che Shakespeare chiamava “rudi meccanici”. L'università dava la possibilità di accedere alla classe borghese, e i laureati non si aspettavano di fare il tipo di lavoro umile e sporco con cui Andrew Carnegie o Henry Ford avevano iniziato.

Nel corso del XX secolo il numero dei laureati aumentò esponenzialmente, passando dal 2% della popolazione nel 1900 al 25% nel 2000. A metà del secolo le due grandi forze di cui abbiamo parlato, la guerra e l'ascesa delle grandi aziende, si incrociarono nel GI Bill, una legge che prevedeva il pagamento di tutte le spese di istruzione per i reduci di guerra, che permise a oltre 2 milioni di veterani della Seconda Guerra Mondiale di frequentare l'università. Rendere l'università il percorso canonico per gli ambiziosi creò un mondo in cui era socialmente accettabile lavorare per Henry Ford, ma in cui nessuno pensava di diventare Henry Ford.

Ricordo bene questo mondo. I programmi televisivi, gli annuari e più di tutti il modo in cui gli adulti si comportavano, rendevano evidente quanto le persone cresciute negli anni Cinquanta e Sessanta fossero state conformiste. Nella mia infanzia questo mondo iniziò a essere meno dominante di un tempo, ma all’epoca ancora non ce ne rendevamo conto: al massimo avremmo detto che nel 1975 si poteva essere un po' più audaci rispetto al 1965. Solo negli anni successivi questo mondo iniziò veramente a sgretolarsi.

Ma il cambiamento sarebbe arrivato presto. E quando l'economia delle grandi corporations iniziò a disintegrarsi, si disintegrò in diversi modi contemporaneamente. Le aziende integrate verticalmente si dis-integrarono, perché dimensioni più piccole diventarono più efficienti. Gli operatori storici si trovarono di fronte a nuovi concorrenti, poiché da un lato i mercati erano diventati globali, dall'altro l'innovazione tecnologica aveva assunto un'importanza maggiore delle economie di scala, trasformando talvolta le dimensioni da un vantaggio a un problema. L’aumento dei canali di vendita rese l’accesso ai consumatori più facile anche per le aziende più piccole. I mercati stessi iniziarono a cambiare, con la comparsa di nuove categorie di prodotti. Infine il governo federale, che in precedenza aveva considerato il mondo composto da grandi aziende consolidate lo stato naturale delle cose, cominciò a rendersi conto di non poter decidere tutto.

Mentre J.P. Morgan fu l’attore principale del consolidamento all'interno di specifici settori, Henry Ford operò un consolidamento verticale della sua azienda. Voleva fare tutto da solo: nel gigantesco impianto che costruì a River Rouge tra il 1917 e il 1928, da una parte entrava il minerale di ferro e dall'altra venivano spedite le automobili. Vi lavoravano 100.000 persone. All'epoca sembrava il futuro. Oggi invece le aziende automobilistiche non operano più in questo modo: gran parte della progettazione e della produzione avviene in una lunga catena di fornitura, mentre le case automobilistiche si occupano solo di assemblare e vendere. Il motivo per cui le aziende automobilistiche operano in questo modo è che funziona meglio. Ogni azienda della catena di fornitura si concentra su ciò che sa fare meglio. E ognuna deve farlo bene, altrimenti può essere sostituita da un altro fornitore.

Perché Henry Ford non capì che le reti di aziende funzionano meglio di un'unica grande azienda? Uno dei motivi è che le reti richiedono un po' di tempo per evolversi. Nel 1917, probabilmente, per Ford fare tutto da solo era il modo migliore per massimizzare i suoi risultati. Il secondo motivo è che se si vuole risolvere un problema utilizzando una rete di aziende che collaborano, bisogna essere in grado di coordinare i loro sforzi, cosa che si può fare molto meglio con i computer. I computer riducono i costi di transazione, che secondo Coase sono la ragion d'essere delle aziende. Si tratta di un cambiamento fondamentale.

All'inizio del XX secolo, le grandi aziende erano sinonimo di efficienza. Alla fine del XX secolo diventarono sinonimo di inefficienza. In una certa misura, ciò avvenne perché quelle aziende erano ormai diventate sclerotiche. Ma anche perché i nostri standard per definire cosa era efficiente e cosa no erano diventati più elevati.

Il cambiamento non riguardò solo la struttura delle aziende: diventò possibile produrre molte cose nuove, e non sempre le aziende esistenti erano quelle che lo fecero meglio.

I personal computer sono un esempio classico. Il mercato fu aperto da aziende emergenti come Apple. Quando il mercato diventò abbastanza grande, IBM decise che valeva la pena di prestargli attenzione. All'epoca IBM dominava completamente l'industria dei computer. Pensò che, ora che il mercato era maturo, non doveva fare altro che creare un prodotto e raccoglierne i frutti. La maggior parte delle persone all'epoca avrebbe ritenuto ragionevole la strategia di IBM. Ma ciò che accadde dopo dimostrò quanto il mondo fosse diventato più complicato. Quando IBM lanciò il suo personal computer, ebbe un buon successo, ma non abbastanza da battere Apple. Il più grande errore di IBM fu però quello di accettare una licenza non esclusiva per il DOS. All'epoca non dovette sembrare una mossa particolarmente rischiosa: nessun altro produttore di computer era mai stato in grado di superare le sue vendite. Che differenza faceva se anche altri produttori potevano offrire il DOS? Sì trattò però di un errore di calcolo, che portò all'esplosione di cloni di PC a basso costo. Microsoft ora possedeva lo standard del PC e il cliente. Il settore dei microcomputer finì per essere Apple contro Microsoft.

In pratica, Apple impedì ad IBM di dominare il mercato, e poi Microsoft le rubò il portafoglio. Questo genere di cose non accadeva alle grandi aziende a metà del secolo scorso. Ma in futuro sarebbe accaduto sempre più spesso.

Nel settore dei computer, il cambiamento è avvenuto per lo più da solo. In altri settori, invece, è stato necessario rimuovere prima gli ostacoli legali. Molti degli oligopoli della metà del secolo erano stati consacrati dal governo federale con politiche e grandi commesse, il che rendeva molto difficile ai concorrenti l’ingresso nel mercato. Ai funzionari governativi dell'epoca questo non sembrava così discutibile come sembra a noi.

Gradualmente il governo si rese conto che le politiche anticoncorrenziali facevano più male che bene e durante l'amministrazione Carter iniziò a eliminarle. La parola usata per questo processo era fuorviante e riduttiva: deregolamentazione. In realtà si trattava di una de-oligopolizzazione. È successo in un settore dopo l'altro. Due dei settori in cui le conseguenze per i consumatori sono state più visibili sono il trasporto aereo e il servizio telefonico a lunga distanza, entrambi diventati drammaticamente più economici dopo la deregolamentazione.

La deregolamentazione ha anche contribuito all'ondata di acquisizioni ostili degli anni Ottanta. In passato l'unico limite all'inefficienza delle aziende, a parte il fallimento vero e proprio, era l'efficienza delle aziende concorrenti. Ora le aziende dovevano confrontarsi con standard assoluti anziché relativi. In ogni società pubblica, un management che non generava rendimenti sufficienti rischiava di vedersi sostituire. E spesso la strategia dei nuovi manager per generare maggiori rendimenti era spezzettare le aziende in componenti che avevano più valore separatamente.

La versione 1 dell'economia nazionale consisteva in poche grandi aziende, e le relazioni tra di loro erano portate avanti da una manciata di dirigenti, politici, regolatori e leader sindacali. La versione 2 era più ad alta risoluzione: c'erano più aziende, di dimensioni diverse, che producevano cose diverse, e le loro relazioni cambiavano più rapidamente. In questa nuova versione, molte relazioni avvenivano ancora fra pochi soggetti, ma molte altre erano lasciate alle forze del mercato. Il che accelerò ulteriormente la frammentazione.

È un po' fuorviante parlare di versioni quando si descrive un processo graduale, ma non così fuorviante come potrebbe sembrare. Ci sono stati molti cambiamenti in pochi decenni, e ciò che abbiamo ottenuto è qualitativamente diverso. Nel 1958, le società dello Standard & Poor's 500 ne facevano parte in media da 61 anni. Nel 2012, in media da 18.

La disgregazione dell'economia delle grandi aziende è avvenuta contemporaneamente alla diffusione della potenza di calcolo. Fino a che punto i computer sono stati una precondizione? Ci vorrebbe un libro per rispondere a questa domanda. Ovviamente la diffusione della potenza di calcolo è stata una precondizione per l'ascesa delle startup. Sospetto che lo sia stata anche per la maggior parte di ciò che è accaduto nella finanza. Ma è stata anche una precondizione per la globalizzazione o per l'ondata di acquisizioni di aziende? Non lo so, ma non scarterei la possibilità. Può darsi che la riframmentazione sia stata guidata dai computer come la rivoluzione industriale è stata guidata dalle macchine a vapore. Che i computer siano stati o meno una precondizione, di certo l'hanno accelerata.

La nuova fluidità delle aziende ha cambiato i rapporti delle persone con i loro datori di lavoro. Le persone ambiziose hanno iniziato a pensare alla carriera non tanto come la salita di un'unica scala, quanto come a una serie di lavori che possono essere svolti in aziende diverse. Maggiore movimento e migliore stima della contribuzione del singolo dipendente spinsero i salari verso il prezzo di mercato. E poiché la produttività delle persone variava notevolmente, pagare il prezzo di mercato causò una diversificazione dei salari.

Non è un caso che il termine "yuppie" sia stato coniato all'inizio degli anni '80. Questa parola non è più molto usata, perché il fenomeno che descrive è ormai scontato, ma all'epoca era un'etichetta per qualcosa di nuovo. Gli yuppies erano giovani professionisti che guadagnavano molto. Questo fenomeno, per chi ha vent'anni oggi, non è degno di nota. Perché i giovani professionisti non dovrebbero guadagnare molto? Ma fino agli anni '80, essere sottopagati all'inizio della carriera faceva parte di ciò che significava essere un professionista.

I giovani professionisti dovevano fare gavetta e farsi strada: le ricompense sarebbero arrivate più tardi. La novità degli yuppies era che volevano un prezzo di mercato per il loro lavoro, e lo volevano da subito.

I primi yuppies non lavoravano per le startup, quello era ancora il futuro. Né lavoravano per grandi aziende. Erano giovani professionisti che lavoravano in campi come la legge, la finanza e la consulenza. Ma il loro esempio ispirò rapidamente i loro coetanei. Una volta vista la nuova BMW dell'amico, anche loro ne volevano una.

Pagare poco le persone all'inizio della carriera funziona solo finché lo fanno tutti. Una volta che qualche datore di lavoro rompe le righe, tutti gli altri devono farlo, altrimenti non riusciranno a trovare persone valide. E una volta avviato, questo processo si diffonde nell'intera economia, perché all'inizio della carriera le persone possono facilmente cambiare non solo datore di lavoro, ma anche settore.

Ma non tutti i giovani professionisti ne hanno beneficiato. Per essere pagati molto bisognava produrre. Non è un caso che i primi yuppies lavorassero in settori in cui era facile misurare la produttività.

Più in generale, stava tornando un'idea il cui nome suonava antiquato proprio perché per tanto tempo era stata rara: l’idea di poter fare fortuna. Ma a questo punto, chi aveva le competenze giuste doveva decidere se farlo o meno: un laureato in fisica che nel 1990 sceglieva di lavorare nel suo campo piuttosto che a Wall Street faceva un sacrificio a cui un fisico del 1960 non aveva dovuto pensare.

L'idea di poter far fortuna si riversò anche nelle grandi aziende. Gli amministratori delegati delle grandi aziende iniziarono a guadagnare di più, e credo che il motivo principale fosse il prestigio. Nel 1960, gli amministratori delegati delle aziende godevano di un prestigio immenso. Erano quelli che guadagnavano di più, ed erano gli unici a poter guadagnare così tanto. Ma se avessero continuato a guadagnare la stessa cifra anche nel 1990, sarebbero sembrati dei pesci piccoli rispetto agli atleti professionisti e ai ragazzi prodigio che avevano iniziato a guadagnare milioni con le startup e gli hedge fund. L'idea non gli piacque, quindi iniziarono a chiedere ed ottenere stipendi sempre più alti, molto più alti di quelli che avevano ottenuto fino a quel momento.

Nel frattempo, una frammentazione simile si stava verificando anche all'altra estremità della scala economica. Man mano che gli oligopoli delle grandi aziende diventavano meno sicuri, queste erano meno in grado di trasferire i costi ai clienti e quindi meno disposte a pagare eccessivamente la manodopera. E poiché il mondo dei grandi blocchi si era frammentato in molte aziende di dimensioni diverse, alcune delle quali all'estero, era diventato più difficile per i sindacati far rispettare i loro monopoli. Di conseguenza, anche i salari dei lavoratori tendevano al prezzo di mercato. Che inevitabilmente, se i sindacati avevano fatto bene il loro lavoro, tendeva ad essere più basso di quello di un tempo. Drammaticamente più basso, per i lavori di cui l'automazione aveva diminuito la necessità.

E così come il modello di metà secolo ha indotto coesione sociale ed economica, la sua rottura ha portato frammentazione sociale ed economica. Le persone iniziarono a vestirsi e ad agire in modo diverso. Coloro che in seguito sarebbero stati chiamati "classe creativa" divennero più mobili. Chi non amava molto la religione si sentiva meno obbligato ad andare in chiesa per salvare le apparenze, mentre chi la amava molto optava per forme sempre più colorate. Alcuni passarono dal polpettone al tofu, altri agli Hot Pocket. Alcuni passarono dalla guida di berline Ford a quella di piccole auto importate, e altri a quella di SUV. I ragazzi che frequentavano scuole private, o che avrebbero voluto farlo, cominciarono a vestirsi in modo "preppy", mentre quelli che volevano sembrare ribelli si sforzavano di apparire disdicevoli. In centinaia di modi le persone presero strade divergenti.

Quasi quattro decenni dopo, la frammentazione continua ad aumentare. È un bene o un male? È difficile dare una risposta univoca: apprezziamo le forme di frammentazione che ci piacciono e ci preoccupiamo di quelle che non ci piacciono. Ma come persona che ha vissuto la coda del conformismo di metà secolo, posso dire che quella che al tempo sembrava un'utopia è ora realtà.

Il mio obiettivo non è stabilire se la frammentazione sia buona o cattiva, ma capire cosa sta accadendo. Cosa succederà con la progressiva scomparsa delle forze centripete della guerra totale e dell'oligopolio del XX secolo? E più specificamente, è possibile invertire una parte della frammentazione che abbiamo visto?

Se lo è, dovrà avvenire in modo frammentario. Non si può riprodurre la coesione di metà secolo nel modo in cui è stata prodotta originariamente.

La guerra era dovuta principalmente a forze esterne, e l'economia delle grandi aziende non era nient’altro che una fase di passaggio. Se si volesse ricreare la coesione ora, bisognerebbe indurla deliberatamente, ma come? Probabilmente il massimo che potremo fare sarà affrontare i sintomi della frammentazione.

La forma di frammentazione di cui ci si preoccupa di più ultimamente è la disuguaglianza economica, guidata da un vento formidabile che soffia dall’età della pietra: lo sviluppo tecnologico.

La tecnologia è una leva: ingrandisce il lavoro. E la leva non solo si allunga sempre di più, ma anche sempre più velocemente. E di pari passo, si muove la quantità di ricchezza che le persone possono creare: non solo aumenta, ma accelera anche. A metà del XX secolo, marciare allo stesso passo degli altri era l’unica scelta a disposizione degli ambiziosi. Marciavano allo stesso passo degli altri letteralmente nelle forze armate, e figurativamente nelle grandi aziende. Pagare le persone in proporzione al loro valore, non era possibile neanche volendo.Ma quando negli anni '70 le cose iniziarono a cambiare, frammentazione e disuguaglianza economica iniziarono nuovamente a crescere.

Finché sarà possibile arricchirsi generando ricchezza, la disuguaglianza economica aumenterà. Si potrà attenuare questo fenomeno con sussidi alla base e tasse alla sommità, ma a meno che le tasse non siano abbastanza alte da scoraggiare le persone dal creare ricchezza, si combatterà una battaglia persa.

Questa forma di frammentazione, come le altre, è destinata a rimanere. O meglio, è tornata per rimanere. Anche se niente è per sempre, la tendenza alla frammentazione potrebbe essere più longeva di altre tendenze, proprio perché non è dovuta a nessuna causa particolare. È semplicemente un ritorno alla media. Quando Rockefeller disse che l'individualismo era scomparso, aveva ragione per cento anni. Ora è tornato, e probabilmente sarà vero ancora a lungo.

Mi preoccupa che se non riconosciamo questo fatto, siamo destinati ad avere problemi. Se pensiamo che la coesione del XX secolo sia scomparsa a causa di pochi ritocchi politici, ci illuderemo di poterla ricreare con pochi ritocchi politici. Ma cercando di eliminare la frammentazione sprecheremmo il nostro tempo, quando sarebbe meglio pensare a come mitigarne le conseguenze.

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