Paul Graham: il pifferaio magico dei nerd
Paul Graham: il pifferaio magico dei nerd
Le Origini del “Wokeness” // The Origins of Wokeness
0:00
Current time: 0:00 / Total time: -32:03
-32:03

Le Origini del “Wokeness” // The Origins of Wokeness

Traduzione in italiano di Elena Carmazzi dall’essay originale di Paul Graham "The Origins of Wokeness"
Traduzione e letture in italiano di Elena Carmazzi dall’essay originale di Paul Graham "The Origins of Wokeness" [Gennaio 2025].
Immagine generata con Midjourney

[Nota di Elena: Wokeness è un termine nato negli Stati Uniti per indicare la consapevolezza riguardo a ingiustizie sociali, razzismo e disuguaglianze. Deriva da "woke," che in inglese significa "sveglio" o "consapevole”. Nato con un accezione positiva legata alla giustizia sociale, ha poi acquisito una connotazione critica, usato per descrivere un atteggiamento percepito come eccessivamente politicamente corretto o moralmente superiore. Oggi riflette sia l'attenzione verso temi sociali sia le tensioni culturali legate a identità e libertà di espressione.]

La parole “moralista”/”bacchettone” (”prig” in inglese) oggi non è così comune, ma se si guarda alla sua definizione vi suonerà familiare. La definizione data da Google non è male:

Una persona moralista che si comporta come se fosse superiore agli altri.

Questo significato della parola nasce nel 18esimo secolo e la sua età è un indizio importante: mostra che sebbene il wokeness sia un fenomeno relativamente recente, è un esempio di un fenomeno molto più antico.

C'è un certo tipo di persona attratta da una forma superficiale e rigorosa di purezza morale, che dimostra la propria virtù attaccando chiunque infranga le regole. Ogni società include queste persone. L'unica cosa che cambia sono le regole che fanno rispettare. Nell’Inghilterra vittoriana era la virtù cristiana. Nella Russia di Stalin era il marxismo-leninismo ortodosso. Per i woke, è la giustizia sociale.

Quindi se volete comprendere la wokeness, la domanda da porsi non è perché le persone si comportino in questo modo. Ogni tipo di società ha i moralisti al suo interno.

La domanda da porsi è perché i nostri moralisti sono prigionieri di queste idee, in questo momento. E per rispondere a questa domanda dobbiamo chiederci quando e dove è iniziata la wokeness.

La risposta alla prima domanda è negli ‘80. La Wokeness è una seconda ondata, più aggressiva, di correttezza politica iniziata alla fine degli anni ‘80, morta nei tardi ‘90 e successivamente tornata con prepotenza all’inizio del 2010, raggiungendo infine l’apice dopo le rivolte del 2020.

Questo non era il significato originale di woke, ma oggi è usato raramente nel senso originale. Oggi l’accezione peggiorativa è quella dominante. Che cosa significa? Mi è stato chiesto spesso di definire sia la wokeness sia il concetto di “politicamente corretto” da persone che pensano siano etichette senza significato, quindi lo farò. Entrambe hanno la stessa definizione:

Un’attenzione aggressiva e ostentata alla giustizia sociale.

In altre parole, sono persone che fanno le moraliste riguardo la giustizia sociale. E questo è il reale problema: l’ostentatività, non la giustizia sociale.

Il razzismo, ad esempio, è un problema genuino. Non un problema sulla scala che il woke crede che sia, ma uno di quelli genuini. Credo che nessuna persona ragionevole possa negarlo. Il problema con il politicamente corretto non è che si concentra su gruppi emarginati, bensì il modo superficiale e aggressivo in cui lo fa. Invece di andare per il mondo e aiutare tranquillamente i membri dei gruppi emarginati, il politicamente corretto si è concentrato sul mettere nei guai le persone che usano le parole sbagliate per parlare di loro.

Per quanto riguarda l’origine del politicamente corretto, se ci pensate, probabilmente conoscete già la risposta. È nato al di fuori delle università e si è diffuso all’interno di esse successivamente? Ovviamente no; è sempre stato più estremo nelle università. Allora dove è iniziato nelle università? È iniziato nella matematica, nelle scienze dure o nell'ingegneria, e da lì si è diffuso nelle scienze umane e sociali? Sono immagini divertenti, ma no, ovviamente è iniziato nelle scienze umane e sociali.

Perché lì? E perché allora? Cosa è successo nelle scienze umane e sociali negli anni '80?

Una teoria efficace sulle origini del politicamente corretto deve essere in grado di spiegare il motivo per cui non è successo prima. Perché non è successo durante i movimenti degli anni ‘60, ad esempio? Si preoccupavano all’incirca degli stessi problemi.

Il motivo per cui le proteste studentesche degli anni ‘60 non portarono al politicamente corretto fu proprio questo: erano movimenti studenteschi. Non avevano alcun reale potere. Gli studenti possono anche aver parlato tantissimo di libertà delle donne e black power, ma non era quello che veniva insegnato nelle loro classi. Non ancora.

Ma all'inizio degli anni '70, gli studenti contestatori degli anni '60, cominciarono a terminare le loro tesi di laurea e a essere assunti come professori. All'inizio non erano né potenti né numerosi. Ma man mano che un numero maggiore di loro coetanei si univa a loro e la precedente generazione di professori iniziava ad andare in pensione, gradualmente divennero entrambi.

Il motivo per cui il politicamente corretto è nato nelle scienze umane e sociali è che questi campi offrivano più spazio per l'iniezione di politica. Un radicale degli anni ‘60 che avesse ottenuto un lavoro come professore di fisica poteva ancora partecipare alle proteste, ma le sue convinzioni politiche non avrebbero influenzato il suo lavoro. Mentre la ricerca in sociologia e nella letteratura moderna può essere politicizzata a piacimento.

Ho visto nascere il politicamente corretto. Quando ho iniziato l'università nel 1982 non esisteva ancora. Le studentesse potevano obiettare se qualcuno diceva qualcosa che consideravano sessista, ma nessuno veniva denunciato per questo. Non era ancora una realtà quando ho iniziato la scuola di specializzazione nel 1986. Nel 1988, però, era sicuramente una cosa diffusa e all'inizio degli anni ‘90 sembrava pervadere la vita del campus.

Cosa è successo? In che modo la protesta è diventata punizione? Perché alla fine degli anni ‘80 le proteste contro il maschilismo (come veniva chiamato) si sono trasformate in denunce formali alle autorità universitarie per sessismo? In sostanza, i radicali degli anni ’60 hanno ottenuto la cattedra. Sono diventati l'establishment contro cui avevano protestato due decenni prima. Ora erano nella posizione non solo di parlare delle loro idee, ma anche di farle valere.

Una nuova serie di regole morali da applicare era una notizia entusiasmante per un certo tipo di studenti. Ciò che la rendeva particolarmente eccitante era il fatto di poter attaccare i professori. Ricordo di aver notato questo aspetto all’epoca, non si trattava semplicemente di un movimento studentesco di base: erano i membri della facoltà a incoraggiare gli studenti ad attaccare altri membri della facoltà. Da questo punto di vista era come la Rivoluzione culturale. Anche quella non era un movimento di base; era Mao che scatenava le giovani generazioni contro i suoi avversari politici. E infatti quando Roderick MacFarquhar iniziò a tenere un corso sulla Rivoluzione culturale ad Harvard alla fine degli anni '80, molti lo videro come un commento sull'attualità. Non so se lo fosse davvero, ma la gente lo pensava, e questo significa che le somiglianze erano evidenti.

Gli studenti universitari spesso "fanno LARP" (Live action role-playing) cioè interpretano ruoli come se fossero in un gioco di ruolo dal vivo, ma invece di travestirsi da personaggi fantasy, recitano parti sociali o morali per adattarsi alle aspettative del loro gruppo. È nella loro natura sperimentare identità e valori. Di solito è innocuo. Ma quando iniziano a recitare ruoli morali in modo superficiale, può diventare un mix velenoso.

Il risultato è stato una sorta di galateo morale, superficiale ma molto complicato.

Immagina di dover spiegare a un visitatore ben intenzionato proveniente da un altro pianeta perché usare l'espressione "people of color" è considerato particolarmente illuminato, mentre dire "colored people" ti fa licenziare. E perché esattamente non si dovrebbe usare la parola "negro" ora, anche se Martin Luther King la usava costantemente nei suoi discorsi. Non ci sono principi di fondo. Dovresti semplicemente dargli una lunga lista di regole da memorizzare.

Il pericolo di queste regole non consisteva soltanto nel fatto che creassero vere e proprie mine per gli incauti, ma anche nel fatto che la loro elaborazione le trasformasse in un sostituto efficace della virtù. Ogni volta che una società possiede un concetto di eresia e ortodossia, quest'ultima finisce per sostituire la vera virtù. Puoi essere la persona peggiore del mondo, ma fintanto che rimani ortodosso, sei considerato superiore a chi non lo è. Questo rende l’ortodossia estremamente attraente per chi ha cattive intenzioni.

Ma perché l’ortodossia funzioni da surrogato della virtù, essa deve essere difficile da raggiungere. Se bastasse indossare un certo capo o evitare di pronunciare determinate parole per essere considerati ortodossi, chiunque saprebbe come fare, e l’unico modo per apparire più virtuosi degli altri sarebbe in effetti esserlo davvero. Le regole superficiali, complicate e in costante mutamento della correttezza politica le hanno rese il perfetto sostituto della virtù autentica. Il risultato è stato un mondo in cui le persone buone, non aggiornate sulle correnti mode morali, venivano sminuite da individui il cui carattere, se potessi vederlo, ti farebbe rabbrividire.

Un grande fattore che ha contribuito all’ascesa della correttezza politica fu la mancanza di altri ambiti sui quali potersi vantare di una purezza morale. Le generazioni precedenti di moralisti si concentravano soprattutto su religione e sesso. Ma tra l’élite culturale, negli anni Ottanta, tali tematiche erano ormai divenute le lettere morte per eccellenza; se eri religioso o rimasto vergine, tendevi a nasconderlo anziché esibirlo. Così, coloro che amavano farsi caricatori della moralità si ritrovarono a corto di ambiti su cui far rispettare le proprie regole. Un nuovo insieme di regole era proprio ciò che stavano aspettando.

Curiosamente, il lato tollerante della sinistra degli anni ‘70 contribuì a creare le condizioni affinché prevalesse quello intollerante. Le norme sociali rilassate, promosse dai vecchi hippy della sinistra, divennero le regole dominanti – almeno tra l’élite – e questo lasciò ben poco su cui i naturalmente intolleranti potessero fondare la loro ostilità.

Un altro possibile fattore contribuente fu la caduta dell’impero sovietico. Il marxismo era stato un punto focale della purezza morale della sinistra, prima che la correttezza politica emergesse come concorrente, ma i movimenti pro-democrazia nei paesi del blocco orientale ne oscurarono gran parte del fascino – soprattutto con la caduta del Muro di Berlino nel 1989. Non si poteva certo schierarsi con la Stasi. Ricordo di aver osservato, alla fine degli anni Ottanta, la sezione moribonda degli Studi Sovietici in una libreria dell’usato a Cambridge, pensando: "di cosa si lamenteranno adesso queste persone?" E, come si è scoperto, la risposta era proprio sotto il mio naso.

Una cosa che notai all’epoca riguardo la prima fase della correttezza politica fu che essa era più popolare tra le donne che tra gli uomini. Come hanno osservato molti scrittori (forse in maniera più eloquente George Orwell), le donne sembrano essere più attratte dall’idea di fare da custodi della moralità. Ma esisteva anche un motivo più specifico per cui le donne tendevano a farsi carico di far rispettare la correttezza politica. In quel periodo si assistette a una reazione fortissima in risposta alle molestie sessuali; la metà degli anni Ottanta fu il momento in cui la definizione di molestie sessuali venne ampliata, passando dagli espliciti avances sessuali alla creazione di un “ambiente ostile.” All’interno delle università, la forma classica di accusa consisteva nel far dichiarare a una studentessa che un professore la aveva fatta “sentire a disagio.” Ma la vaghezza di tale accusa permise di estendere il campo delle condotte proibite fino a includere anche il discutere idee eterodosse. Anche queste, d’altronde, mettono a disagio le persone.

Era sessista proporre che l’ipotesi della maggiore variabilità maschile di Darwin potesse spiegare alcune differenze nelle prestazioni umane? A quanto pare, sì: l’idea fu considerata talmente sessista da portare Larry Summers a essere costretto a lasciare la presidenza di Harvard. Una donna che aveva assistito alla conferenza in cui veniva menzionata questa ipotesi dichiarò di essersi sentita “fisicamente male” e di aver dovuto andarsene a metà. Se il criterio per definire un ambiente ostile è quanto questo faccia sentire le persone, allora questa situazione ne è un perfetto esempio. Eppure sembra plausibile che una maggiore variabilità maschile spieghi parte delle differenze nelle prestazioni umane. Allora, cosa dovrebbe prevalere: il conforto o la verità? Sicuramente, se la verità dovesse prevalere in qualche luogo, questo luogo sarebbero le università, la cui specialità è proprio cercare la verità; eppure, per decenni a partire dalla fine degli anni Ottanta, i fautori della correttezza politica hanno cercato di far finta che questo conflitto non esistesse.

La correttezza politica sembrava essersi esaurita nella seconda metà degli anni Novanta. Una ragione, forse la principale, fu che essa divenne letteralmente uno scherzo. Offriva materiale ricco per i comici, i quali vi intervenivano con la loro solita azione disinfettante. L’umorismo è una delle armi più potenti contro ogni forma di moralismo, perché i moralisti, essendo privi di senso dell’umorismo, non sanno replicare allo stesso modo. Fu proprio l’umorismo a sconfiggere il pudore vittoriano e, entro il 2000, pareva aver fatto lo stesso effetto sulla correttezza politica.

Purtroppo, però, questa fu un’illusione. All’interno delle università le braci della correttezza politica continuavano a ardere intensamente. Dopotutto, le forze che l’avevano generata erano ancora presenti. I professori che l’avevano avviata stavano ora diventando presidi e capi di dipartimento. E, oltre ai loro settori, erano nati numerosi nuovi dipartimenti dedicati esplicitamente alla giustizia sociale. Gli studenti erano ancora affamati di cause su cui poter pretendere una purezza morale. Inoltre, si era verificata un’esplosione nel numero degli amministratori universitari, molti dei quali avevano il compito di far rispettare le varie forme di correttezza politica.

Nei primi anni 2010 le braci della correttezza politica si trasformarono nuovamente in fiamme. Ci furono diverse differenze tra questa nuova fase e quella originaria. Era più virulenta. Si diffuse ancor di più nel mondo reale, pur bruciando più intensamente all’interno delle università. E si occupava di una gamma molto più ampia di peccati. Nella prima fase della correttezza politica si veniva accusati fondamentalmente di sole tre cose: sessismo, razzismo e omofobia (che all’epoca era un neologismo creato appositamente a tal fine). Ma tra allora e il 2010 molti passarono ore a inventare nuovi tipi di -ismi e -fobie, cercando di vedere quali potessero prendere piede.

La seconda fase fu, in molti sensi, una forma di correttezza politica metastatizzata. Perché accadde in quel momento? Credo che ciò sia dovuto all’ascesa dei social media, in particolare di Tumblr e Twitter, poiché una delle caratteristiche più distintive della seconda ondata di correttezza politica fu il “cancel mob”: una folla di persone arrabbiate che si univano sui social media per far emarginare o licenziare qualcuno. Infatti, questa seconda ondata fu inizialmente chiamata “cancel culture”; il termine “wokeness” non venne adottato fino agli anni ‘20.

Un aspetto dei social media che sorprese quasi tutti all’inizio fu la popolarità dell’indignazione. Gli utenti sembravano amare provare indignazione. Ora siamo così abituati a quest’idea da considerarla scontata, ma in realtà è piuttosto strana. Essere indignati non è una sensazione piacevole; non ci si aspetterebbe che le persone la cercassero attivamente. Eppure lo fanno. E, soprattutto, vogliono condividerla. Gestendo un forum dal 2007 al 2014 ho potuto constatare quanto lo desiderassero: i nostri utenti erano circa tre volte più propensi a dare un upvote a qualcosa se li faceva arrabbiare.

Questa inclinazione verso l’indignazione non era dovuta al “wokeness” in sé. Si tratta piuttosto di una caratteristica intrinseca dei social media, o almeno di questa generazione di essi. Eppure ciò li ha resi lo strumento perfetto per alimentare le fiamme del “wokeness.”

Non furono solo i social network pubblici a guidare l’ascesa del “wokeness.” Anche le app di chat di gruppo giocarono un ruolo fondamentale, soprattutto nell’ultimo stadio, quello della cancellazione. Immagina se un gruppo di dipendenti, determinati a far licenziare qualcuno, dovesse organizzarsi esclusivamente tramite email: sarebbe difficile creare una vera e propria folla. Ma una volta che si dispone di una chat di gruppo, le masse si formano naturalmente.

Un ulteriore fattore che contribuì a questa seconda ondata di correttezza politica fu l’aumento drammatico della polarizzazione della stampa. Nell’era della carta stampata, i quotidiani erano costretti ad essere – o almeno a sembrare – politicamente neutrali. I grandi magazzini che facevano pubblicità sul New York Times volevano raggiungere l’intera regione, sia gli elettori liberali che quelli conservatori, e così il Times doveva accontentare entrambi. Tuttavia, il Times non considerava questa neutralità come un’imposizione, ma l’abbracciava come dovere, in quanto giornale di riferimento – uno dei grandi quotidiani che intendevano essere cronache dei loro tempi, riportando ogni storia sufficientemente importante da un punto di vista neutrale.

Quando ero giovane, i quotidiani di riferimento apparivano come istituzioni senza tempo, quasi sacre. Quotidiani come il New York Times e il Washington Post godevano di un prestigio immenso, in parte perché le altre fonti di informazione erano limitate, ma anche perché facevano uno sforzo reale per essere neutrali.

Sfortunatamente si è scoperto che il quotidiano di riferimento era per lo più un artefatto dei vincoli imposti dalla stampa. Quando il mercato era determinato dalla geografia, dovevi essere neutrale. Ma la pubblicazione online ha permesso - anzi, probabilmente costretto - i giornali a rivolgersi a mercati definiti dall’ideologia anziché dalla geografia. La maggior parte di quelli rimasti in attività si orientò nella direzione in cui già tendevano: la sinistra. L’11 ottobre 2020 il New York Times annunciò che “il quotidiano è nel bel mezzo di un’evoluzione, dal tradizionale quotidiano di riferimento a una succulenta raccolta di grandi narrazioni.” Nel frattempo, in un certo senso, emersero anche giornalisti a servizio della destra. Così il giornalismo, che nell’era precedente era una delle grandi forze centralizzatrici, divenne una delle grandi forze polarizzanti.

L’ascesa dei social media e la crescente polarizzazione del giornalismo si rafforzavano a vicenda. Infatti, emerse una nuova forma di giornalismo basata su un circuito chiuso attraverso i social media: qualcuno diceva qualcosa di controverso online e, nel giro di poche ore, questo diventava una notizia. I lettori indignati postavano poi link alla storia sui social, alimentando ulteriori discussioni online. Era la fonte di click più economica che si potesse immaginare: non occorreva mantenere uffici stampa all’estero né pagare per indagini che durassero mesi. Bastava monitorare Twitter per commenti controversi e ripubblicarli sul proprio sito, aggiungendo ulteriori osservazioni per infiammare ancora di più i lettori.

Per la stampa c’era denaro nel wokeness. Ma non erano i soli. Questa fu una delle maggiori differenze tra la prima e la seconda ondata di correttezza politica: la prima era guidata quasi interamente dagli amatori, mentre la seconda era spesso trainata dai professionisti. Per alcuni, era il loro intero lavoro. Entro il 2010 emerse una nuova classe di amministratori il cui compito era fondamentalmente far rispettare il wokeness. Svolgevano un ruolo simile a quello dei commissari politici che si attaccavano alle organizzazioni militari e industriali nell’URSS: non partecipavano direttamente al lavoro dell’organizzazione, ma vigilavano di lato per assicurarsi che nulla di inappropriato accadesse. Questi nuovi amministratori potevano spesso essere riconosciuti dalla presenza della parola “inclusion” nei loro titoli. All’interno delle istituzioni, questo era l’eufemismo preferito per indicare il wokeness; ad esempio, una nuova lista di parole vietate veniva solitamente denominata “guida al linguaggio inclusivo.”

Questa nuova classe di burocrati promuoveva un’agenda woke come se il loro lavoro ne dipendesse, perché in realtà vi dipendeva. Se assumi persone per vigilare su un particolare tipo di problema, esse lo troveranno, altrimenti non ci sarebbe alcuna giustificazione per la loro esistenza. Ma questi burocrati rappresentavano anche un secondo, e forse ancor maggiore, pericolo. Molti erano coinvolti nelle assunzioni e, quando possibile, cercavano di assicurarsi che i loro datori di lavoro assumessero solo persone che condividevano le loro convinzioni politiche. I casi più eclatanti furono le nuove “dichiarazioni DEI (Diversity and Inclusion)” che alcune università iniziarono a richiedere ai candidati per posizioni accademiche, per dimostrare il loro impegno verso il wokeness. Alcune istituzioni usavano queste dichiarazioni come filtro iniziale, considerando solo i candidati che ottenevano un punteggio sufficientemente alto. Non è così che si assume un Einstein; immagina invece cosa si ottiene.

Un altro fattore che ha contribuito all’ascesa del wokeness fu il movimento Black Lives Matter, nato nel 2013 quando un uomo bianco fu assolto dopo aver ucciso un adolescente nero in Florida. Ma ciò non diede il via al wokeness; era già in pieno svolgimento entro il 2013.

Allo stesso modo, il movimento Me Too, che decollò nel 2017 dopo le prime notizie riguardanti la storia di Harvey Weinstein nell’aver stuprato donne, accelerò il wokeness, pur non giocando lo stesso ruolo nel lanciarlo come fece la versione degli anni ’80 nel dare inizio alla correttezza politica.

L’elezione di Donald Trump nel 2016 accelerò ulteriormente il wokeness, in particolare nella stampa, dove l’indignazione si traduceva in traffico. Trump fece guadagnare moltissimo il New York Times: durante la sua prima amministrazione, le notizie menzionavano il suo nome a un tasso circa quattro volte superiore rispetto ai presidenti precedenti.

Nel 2020 assistemmo al più grande accelerante di tutti, quando un poliziotto bianco soffocò un sospetto nero in un video. A quel punto il fuoco metaforico divenne letteralmente tale, con lo scoppio di violente proteste in tutta America. Ma, col senno di poi, questo si rivelò essere il culmine del wokeness, o quasi: da ogni punto di vista, per quanto ho potuto osservare, il wokeness raggiunse il suo picco nel 2020 o nel 2021.

Il wokeness viene a volte descritto come un virus mentale. Ciò che lo rende virale è il fatto che definisce nuovi tipi di inadeguatezza. La maggior parte delle persone teme di commettere trasgressioni, non essendo mai del tutto sicure di quali siano le regole sociali o di quali di esse potrebbero infrangere, soprattutto se queste cambiano rapidamente. E poiché già molti temono di violare norme di cui non sono a conoscenza, se viene loro detto che stanno infrangendo una regola, la reazione automatica è quella di crederci, specialmente se più persone glielo confermano. Questo è un terreno fertile per una crescita esponenziale. I fanatici inventano nuove inadeguatezze da evitare, e i primi ad adottarle sono altri fanatici, desiderosi di trovare nuovi modi per segnalare la propria virtù. Se ce ne sono a sufficienza, il gruppo iniziale di fanatici viene seguito da un gruppo molto più ampio, mosso dalla paura: non cercano di segnalare virtù, ma soltanto di evitare di incorrere in problemi. A quel punto, la nuova inadeguatezza si consolida definitivamente. Inoltre, il suo successo ha accelerato il ritmo con cui cambiano le regole sociali, e questo, ricordate, è uno dei motivi per cui le persone sono ansiose di infrangere regole non chiaramente definite. Così il ciclo si accelera.

Ciò che è vero per gli individui lo è ancor di più per le organizzazioni, soprattutto per quelle prive di un leader forte. Tali organizzazioni operano basandosi sulle “best practices”: non esiste un’autorità superiore e, se una nuova “best practice” raggiunge la massa critica, essa deve essere adottata. In queste situazioni l’organizzazione non può fare ciò che di solito fa in momenti di incertezza: procrastinare, rischiando di commettere trasgressioni proprio in quel momento. È quindi sorprendentemente facile per un piccolo gruppo di fanatici prendere il controllo di tali organizzazioni, individuando e denunciando nuove inadeguatezze di cui potrebbero essere colpevoli.

Ma come può mai finire questo tipo di ciclo? Alla fine conduce al disastro, e le persone iniziano a dire “basta”. Gli eccessi del 2020 hanno spinto molti a pronunciare quella frase.

Da allora il wokeness è in ritirata, graduale ma costante. I CEO aziendali, a partire da Brian Armstrong, lo hanno apertamente respinto. Le università, guidate dall’Università di Chicago e dal MIT, hanno esplicitamente confermato il loro impegno per la libertà di espressione. Twitter, che era probabilmente il fulcro del wokeness, fu acquistato da Elon Musk per neutralizzarlo, e pare che ci sia riuscito, e non censurando gli utenti di sinistra come in passato censurava quelli di destra, ma senza censurare nessuno dei due. I consumatori hanno respinto con decisione i marchi che si erano spinti troppo oltre nel wokeness; il marchio Bud Light, ad esempio, potrebbe essere stato danneggiato in modo permanente. Non sosterrò che la seconda vittoria di Trump nel 2024 sia stata un referendum sul wokeness; penso che abbia vinto, come avviene sempre per i candidati presidenziali, perché era più carismatico, ma il disgusto degli elettori verso il wokeness deve aver contribuito.

Allora, cosa facciamo adesso? Il wokeness è già in ritirata. Ovviamente, dovremmo accelerare questo processo. Qual è il modo migliore per farlo? E, cosa ancora più importante, come evitiamo una terza ondata? Dopotutto, sembrava ormai finito una volta, per poi tornare più forte che mai.

In effetti c'è un obiettivo ancora più ambizioso: esiste un modo per prevenire ogni futura scoppio simile di moralismo performativo aggressivo, non solo una terza ondata di correttezza politica, ma il prossimo fenomeno analogo? Perché ce ne sarà sempre un altro. I moralisti sono tali per natura: hanno bisogno di regole da osservare e far rispettare, e ora che Darwin ha prosciugato la loro tradizionale fonte di norme, sono costantemente affamati di nuove regole. Tutto ciò di cui hanno bisogno è che qualcuno li incontri a metà strada definendo un nuovo modo per essere moralmente puri, e assisteremo di nuovo allo stesso fenomeno.

Cominciamo dal problema più semplice. Esiste un modo semplice e fondato per affrontare il wokeness? Io credo di sì: utilizzare le consuetudini già in uso per trattare la religione. Il wokeness è, di fatto, una religione, solo che al posto di Dio si hanno le classi protette. E non è neppure la prima religione di questo tipo; il marxismo aveva una forma analoga, con Dio sostituito dalle masse. Inoltre, abbiamo già consuetudini ben consolidate per trattare la religione all'interno delle organizzazioni. Puoi esprimere la tua identità religiosa e spiegare le tue convinzioni, ma non puoi definire infedeli i tuoi colleghi se non sono d'accordo, né cercare di proibire loro di dire cose che contraddicono le dottrine, o insistere affinché l'organizzazione adotti le tue come religione ufficiale.

Se non siamo sicuri di come affrontare una particolare manifestazione del wokeness, immagina di trovarci a trattare un'altra religione, come il cristianesimo. Dovremmo avere all'interno delle organizzazioni persone il cui compito sia far rispettare l'ortodossia woke? No, perché non avremmo persone incaricate di far rispettare l'ortodossia cristiana. Dovremmo censurare scrittori o scienziati il cui lavoro contraddice le dottrine woke? No, perché non faremmo questo nei confronti di chi il cui lavoro contraddice gli insegnamenti cristiani. I candidati a un posto di lavoro dovrebbero essere obbligati a scrivere dichiarazioni DEI? Certamente no; immagina un datore di lavoro che richieda la prova delle convinzioni religiose. Gli studenti e i dipendenti dovrebbero partecipare a sessioni di indoytrinamento woke, durante le quali sono tenuti a rispondere a domande sulle loro convinzioni per garantirne il rispetto? No, perché non oseremmo catechizzare le persone in questo modo riguardo alla loro religione.

Non ci si dovrebbe sentire in colpa per non voler guardare film woke, proprio come non ci si sentirebbe in colpa per non voler ascoltare il rock cristiano. Nei miei vent'anni ho attraversato l'America diverse volte, ascoltando le radio locali. Di tanto in tanto cambiavo stazione e sentivo una canzone nuova. Ma non appena qualcuno menzionava Gesù, cambiavo di nuovo stazione. Anche il minimo segno di sermone era sufficiente a farmi perdere interesse.

Ma allo stesso modo non dovremmo rifiutare automaticamente tutto ciò in cui credono i sostenitori del wokeness. Non sono cristiano, ma posso riconoscere che molti principi cristiani sono buoni. Sarebbe un errore scartarli tutti solo perché non condividiamo la religione che li promuove; sarebbe esattamente ciò che farebbe un fanatico religioso.

Se riusciremo a mantenere un vero pluralismo, credo che saremo al sicuro da future ondate di intolleranza woke. Il wokeness in sé non scomparirà: nel prossimo futuro continueranno ad esistere sacche di fanatici woke che inventeranno nuove mode morali. La chiave è non permettere loro di trattare queste mode come norme vincolanti. Possono cambiare ciò che ai loro coreligionisti è permesso dire ogni pochi mesi, se lo desiderano, ma non devono avere il potere di modificare ciò che noi siamo autorizzati a dire.

Il problema più generale - come prevenire simili scoppietti di moralismo performativo aggressivo - è ovviamente più difficile. Qui ci troviamo di fronte alla natura umana. Ci saranno sempre moralisti, e in particolare ci saranno sempre gli esecutori, quelli dalla mentalità aggressivamente convenzionale. Queste persone nascono così; ogni società ne ha. Quindi il meglio che possiamo fare è tenerli sotto controllo.

Le persone dalla mentalità aggressivamente convenzionale non sono sempre in preda alla furia. Di solito fanno rispettare le regole più immediate e casuali. Diventano pericolose solo quando una nuova ideologia li concentra in gran numero nella stessa direzione, come accadde durante la Rivoluzione Culturale e, in misura minore (grazie a Dio), nelle due ondate di correttezza politica che abbiamo vissuto.

Non possiamo liberarci delle persone dalla mentalità aggressivamente convenzionale. E non potremmo nemmeno impedire alle persone di creare nuove ideologie che li attraggono, anche se lo volessimo. Quindi, se vogliamo tenerli sotto controllo, dobbiamo intervenire a valle. Fortunatamente, quando queste persone si scatenano, fanno sempre una cosa che le tradisce: definiscono nuove eresie per cui punire gli altri. Pertanto, il modo migliore per proteggerci da future ondate di fenomeni come il wokeness è dotarci di potenti "anticorpi" contro il concetto di eresia.

Dovremmo adottare una predisposizione consapevole a non definire nuove forme di eresia. Ogni volta che qualcuno cerca di vietare di dire qualcosa che in passato era permesso, la nostra ipotesi iniziale dovrebbe essere che si sbagli. Naturalmente, si tratta soltanto di un'ipotesi iniziale: se riescono a dimostrare che dovremmo smettere di dirlo, allora lo faremo. Ma l'onere della prova spetta a loro. Nelle democrazie liberali, chi cerca di impedire che qualcosa venga detto solitamente sostiene di non star attuando mera censura, ma di voler prevenire un certo "danno". E forse hanno ragione; tuttavia, ancora una volta, l'onere della prova è a loro carico. Non basta asserire che vi sia un danno: devono dimostrarlo.

Finché le persone dalla mentalità aggressivamente convenzionale continueranno a tradirsi vietando eresie, saremo sempre in grado di notare quando si allineano dietro una nuova ideologia. E se opponiamo sempre una resistenza in quel momento, con un po' di fortuna potremo fermarli sul nascere.

Il numero delle verità che non possiamo esprimere non dovrebbe aumentare. Se dovesse accadere, qualcosa non va.

Discussion about this episode